LA “BELLEZZA” DELLE PAROLE

martedì 29 aprile 2008

Dò il benvenuto a tutti coloro si sono avventurati per scelta o per caso sul blog di casa “focumia”.
Blog, nato per caso, per scherzo, per strane coincidenze astrali, perché qualcuno aveva perso una scommessa……….o più semplicemente per la voglia di esprimersi, di interloquire con il “mondo” con l’irrinunciabile goliardia che ci contraddistingue.
Mi sembrava doveroso inaugurare questo spazio virtuale con alcune considerazioni relative alla “scelta” del nome “casa focu mia”.
Questo nome credo sia stato scelto per “prendere in giro” la sottoscritta, che da calabrese d.o.c. emigrata non perde occasione di condire, mescolare i suoi discorsi con intercalari dialettali del tipo focu mio, mancu li cani, fijioli ecc, come se tutto il mondo fosse in qualche modo un po’ calabrese e potesse capirne il senso, o come se questi intercalari fossero il proseguimento naturale e necessario dei propri pensieri, di qualsiasi discorso, come se senza quegli intercalari lo stesso discorso perdesse di senso, di consistenza.
Quindi un po’ per scherzo un po’ per vezzo si è pensato a questo nome per il nostro blog.

L’espressione focu mio può essere tradotta in “Oh mio dio!”, “Ohimè”, rispetto a situazioni, eventi percepiti come potenzialmente pericolosi.
L’aspetto interessante di questa espressione è che la dimensione della catastrofe, della tragedia, dei guai in vista è identificata con la dimensione estremamente concreta del fuoco.
Ma perché la scelta del fuoco?
L’evocazione del fuoco nasce infatti dal rapporto secolare della Calabria con il fuoco e con gli incendi, che ha segnato profondamente il popolo calabrese e la sua storia. Alcuni studiosi del dialetto calabro fanno risalire infatti l’origine di questa espressione proprio alle preoccupazioni del popolo calabrese per gli incendi e per la distruzione e la morte che ne conseguivano.
Preoccupazione che esautorava tutto, tanto da diventare La preoccupazione, l’unica possibile, tanto da diventare e rimanere a tutt’oggi il simbolo del preoccuparsi per qualcosa che sta per succedere. Non c’è un calabrese che di fronte a qualcosa che lo preoccupa non esclami ancora o focu mio!
Dopo anni e anni di “focu mio” detti con non chalance a destra e manca grazie alle mie coinquiline, ho avuto la possibilità di fare un viaggio all’interno di queste parole, di una storia, della mia terra, dell’uso di una lingua. Mi sono imbattuta in un aspetto interessantissimo dei dialetti, e cioè la loro capacità di condensare in singole parole tutto un mondo, di restituire concretezza a dimensioni che oggi chiameremmo immateriali. A tanti anni di distanza dalla mia partenza dalla Calabria mi rendo conto che forse ancora prima dei vesti o dei viveri che caratterizzano qualsiasi migrazione calabrese io ho messo in valigia le parole, le espressioni della mia terra, che come nel caso di focu mio sono in grado di convogliare in una singola parola la storia di un popolo, le sue peripezie, le sue preoccupazioni, le mille emozioni che sperimenta.
Queste espressioni dialettali hanno attraversato indenni il tempo e sono arrivate fino a noi cariche della loro storia. Storia che per abitudine, sbadataggine a volte non vediamo, ma che comunque fa sentire il suo peso, incide nei discorsi che facciamo e li presente pronta per essere ricompresa.
È bastato un attimo infatti per riscoprire con occhi nuovi il significato di un’espressione di cui faccio un abuso quotidiano.

Buona lettura a tutti,
Barbara